PHOTOPARIS

di Alessandra Frosini, Storico dell'arte

Ritratti parigini

“Parigi è solo un sogno*” di una vita segreta che anima la città, fatta delle storie, della letteratura, della musica e del passato che si fonde col presente e di cui si nutre, con grande forza, la presenza irriducibile e corporea della città. Una poesia irripetibile che ha intriso inevitabilmente le pietre di una città in continua trasformazione, che ha ispirato nei secoli un numero infinito di artisti e scrittori e che Nicolò Quirico ha saputo guardare ed interpretare attraverso il suo occhio interiore, per restituirci un distillato di storia e vitalità, svelando all’esterno l’interno delle cose. 

Nel ciclo delle opere dal titolo PhotoParis, presentate per la prima volta al pubblico, quella che osserviamo è una vita pronta ad animarsi, con modalità inaspettate e sorprendenti, in un modo molto simile a quanto accade ne La boîte à joujoux di Claude Debussy, suggestione da cui parte il lavoro di Quirico sulla ville lumière. Nel balletto di Debussy, destinato all’infanzia per il teatro delle marionette, i giocattoli, approfittando della quiete della notte, escono dalla scatola in cui sono rinchiusi per vivere la loro vita autonoma rispetto a quella “conosciuta” dagli umani, ma in larga misura parallela, in cui si susseguono amori, battaglie e scontri. 

Sotto le lenti di questa doppia vita si animano anche le opere di Photo Paris, dominate da “teatranti urbani” e “giocattoli silenziosi”, mossi da un “burattinaio” immaginario nello spazio occupato da edifici visionari che ci sorprendono per le loro architetture e per gli scorci arditi con cui vengono proposti dall’artista allo sguardo di tutti noi: edifici-balena o palazzi-razzi, fabbricati che si pongono in relazione come domanda e risposta, o che vivono in comunanza o in opposizione di vedute e volumi. 

Parigi si anima così, vivendo una doppia realtà di città reale e sognata, la cui magia sembra accendersi nelle figure colorate che la popolano: sculture, installazioni e figure di cui è ricca la città e che vivono apparentemente sopite, ma pronte a venir scoperte dall’occhio filtrato dalla fotografia. Ecco che al posto dei soldatini e delle bambole, le presenze sono costituite dal ragno rosso di Alexander Calder o dai personaggi di Joan Mirò, dalle figure di Jean Tinguely e Niki de Saint-Phalle nella fontana del Beaubourg o dai tubi dello stesso centre Pompidou, dalle edicole d’ingresso liberty della metro di Parigi di Hector Guimard, o dalle sedie verdi del Jardin des Tuileries. Ogni forma concreta e visibile ed ogni particolare architettonico è parte di un labirinto, segno di una prospettiva che lo sguardo contempla attento per trovare, dopo lenta osservazione, la traccia di un percorso nascosto.

Così riusciamo a percepire le voci che provengono dai palazzi apparentemente muti, di un’architettura che dovrebbe, in quanto disciplina dell’organizzazione dello spazio dell’essere umano, parlare attraverso le sue forme della vita di chi la anima. I palazzi diventano dunque contenitori che contengono, anch’essi boîte à joujoux, i giocattoli-cittadini, assenti da queste immagini, presenze vaghe e nascoste, ma di cui possiamo intuire le voci, pronte a parlarci attraverso l’architettura. 

Alla lettura vera e propria dell’immagine, basata su criteri estremamente razionali e misurati, si aggiunge questa lettura evocativa, che rimanda alla memoria e alle possibilità legate all’esistenza stessa. Se in un primo momento può sembrare che Quirico voglia focalizzare l’attenzione su un oggetto preciso, poi ci accorgiamo che l’intento è quello di condurci in un mondo aperto e sospeso, dove ogni elemento, mostrando se stesso, mostra anche un oltre,  rimanda ad un legame infinito di sottili corrispondenze, che siamo invitati a ricercare. È come se l’inquadratura si aprisse su un altrove che trascina lo sguardo dentro le cose e l’interno delle cose verso lo sguardo, dilatandolo in ogni direzione. 

Come in un microcosmo, ogni sua immagine contiene qualcosa che oltrepassa il tempo contingente e il nostro razionalismo narcisista, sempre teso a piegare la realtà alle nostre aspettative. La ricerca è orientata verso un vedere dominato da movimenti dello sguardo che si nutrono di tempi lenti, quasi meditativi, capaci di addentrarsi nelle pieghe della realtà per far emergere l’eco di ricordi nuovi e di esperienze quasi rimosse.

Le opere di Quirico sono contrazioni dell’immagine reale con quella sognata e con quella costruita, immagini cifrate con molte possibilità di lettura da intuire e scoprire, partendo dall’orizzonte di una città. Sono antidoti alla velocità di consumo delle immagini odierne, che si attuano suggerendoci delle partenze, affidandoci una sorta di “assaggio” che dà conto della totalità senza doverla ledere, ma anzi innescando una riflessione sulle possibili realtà che s’incrociano. Per questo le fotografie sono individuate in uno schema di assi cartesiani che ccreano un reticolo geometrico di prospettive precise e meditate in cui le immagini diventano metafora di un percorso razionale e umano, dentro l’infinita molteplicità dell’esperienza.

In PhotoParis Quirico si confronta con una città che è da sempre nel cuore dell’immaginario collettivo e che annovera una lista quasi infinita di sguardi e cuori catturati dal suo fascino. La fotografia, nata proprio qui sulle rive della Senna, ha nutrito la città di un amore corrisposto, e tanti fotografi hanno ritratto Parigi attraverso le sue molteplici forme: a cominciare da Daguerre, inventore insieme a Niépce di questa nuova forma d’arte, passando poi per Marville, Atget, Lartigue, Brassaï, Kertész, Ronis, Doisneau, Capa, Cartier-Bresson, Erwitt e molti altri. 

La voce di Quirico si aggiunge chiara a queste, con una ricerca che non è focalizzata su una condizione della quotidianità dentro cui misurarsi; le sue sono immagini che ci catturano perché guardano la città negli occhi, senza concessioni al volutamente bello, chiamandoci ad una scoperta nuova, che può avvenire su molteplici livelli. Del resto il processo della visione è sempre ambiguo e mai chiuso e come in altre suoi cicli (London Calling, per esempio), le costruzioni che realizza hanno un’infinita possibilità di rimandi, attraverso le immagini e le parole scritte, attraverso il rapporto che lega la realtà al suo passato e al suo futuro e alle sue possibili interpretazioni. Anche la tecnica è quella a cui ci ha abituato Quirico, uno dei suoi marchi distintivi: una complessa struttura di riprese multiple ricomposte in un collage e stampate su fogli di vecchi libri, opere uniche che in questo caso trovano come “base” i libri comprati sulle bancherelle lungo la Senna. Testi non solo in francese, di letteratura, di arte, ma anche d’ingegneria, resi indistinguibili e illeggibili per lo più, che vanno a costituire l’anima nascosta che affiora a tratti, delle opere che realizza. 

L’immagine nasconde così l’evidenza di una connotazione legata al linguaggio verbale, in cui la sovrapposizione fra segni iconoci e non iconoci trova un equilibrio sapiente, che si concretizza come presenza visiva in grado di considerare la vita delle forme e delle persone. Un modo per  travalicare il linguaggio della fotografia e ritrovare il tempo di uno sguardo approfondito per poter  giungere a comprendere il “funzionamento” dell’opera, il gioco sottile di rimandi esistenti. Le pagine dei libri che stanno alla base delle opere creano un flusso di voci indistinguibili, memoria e vita al tempo stesso, che le sostanziano e ne diventano struttura, rendendole pezzi unici.

In un gioco a ritroso, alla fine del nostro percorso siamo giunti all’opera-installazione scelta anche come immagine di copertina di questo catalogo: il flusso di voci si concretizza in un “palazzo di parole” e viene proiettato all’esterno, indirizzandoci in rue Simon-Crubellier n.11, la via immaginaria del palazzo inesistente pensato da Georges Perec nel suo romanzo La vie mode d’emploi. Le vicende di questo “iperromanzo” si svolgono in un caseggiato composto da dieci piani di dieci stanze ognuno a formare un biquadrato di cento elementi, la cui facciata anteriore permette la visione immediata e simultanea di ogni stanza. Nel racconto, che procede secondo lo schema del movimento del cavallo nel gioco degli scacchi, ogni stanza verrà toccata, tranne una, che resterà l’unica a non essere mai occupata da alcuna vicenda narrata dei cento anni di vita dell’edificio. Cento foto comporranno l’edificio-simulacro di  rue Crubellier n.11, gioco di allestimento e di segni che s’incrociano, nella volontà di distinguere e vedere oltre l’immagine: “L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tassi lo reca, un metrò lo porta via, la torre non ci bada e il Pànteon neppure. Parigi è solo un sogno*”. 

*  R. Queneau, Zazie nel metro, Einaudi, Torino 1970, p. 67.

copertina_parigi

PHOTOPARIS
Catalogo ITA/FR/ENG, 80 pagine, testo critico di Alessandra Frosini
2015

 

MUST Gallery, Lugano CH

PHOTOPARIS
Lugano - CH, 2015

 

MIA Milano

PHOTOPARIS
MIA Milan Image Art Fair, Milano, 2015

 

IMG_4435_ritoc

ARTEFIERA, Bologna, 2016

 

Opere

Stampe fotografiche su collage di pagine di libri d'epoca.

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